La proposta di Marco Botti di una statua per l’artista cui venne dedicata la Lancia d’oro del 21 giugno 2003, vinta da Porta Sant’Andrea.
La classe dirigente di Arezzo ha sempre avuto una strana e inspiegabile allergia a celebrare e omaggiare i grandi personaggi che – fortuna nostra – sono nati o hanno operato in modo determinante nel nostro territorio.
A turno tutti imparano in maniera scontata la frase del Carducci “basterebbe Arezzo ecc. ecc.” e la spacciano in giro in maniera ‘campanilistica’, nell’accezione becera e provincialistica del termine. Poi, stringi stringi, a spendere soldi pubblici nelle cose più disparate sono bravissimi, ma quando si parla di valorizzare tutte quelle figure rappresentate nella Sala dei Grandi della Provincia defenestrata, “vai avanti tu che mi viene da ridere”.
Per questo motivo, ogni volta che visito un’altra città provo sempre rabbia a vedere che altrove non è così, da Roma fino ad Atrani (il comune più piccolo d’Italia).
Ho fatto questo preambolo per parlare della statuaria carente in città, o più precisamente della carenza di monumenti che rappresentano i nostri grandi concittadini. Intendo quelli ‘accademici’ che lasciano poco spazio alle licenze artistiche, perché servono principalmente a ricordare il personaggio raffigurato, non l’autore dell’opera.
Tolte le due statue autoreferenziali dei granduchi, quelle del Petrarca e Guido d’Arezzo più che altro ‘suggerite’ da Roma, e quella del Fossombroni, che se alla fine non pagava il figliastro col cavolo che c’era, rimane infatti ben poco.
Secondo voi, Vasari, Cesalpino, Redi e Spinello, allargando il raggio Piero della Francesca e Michelangelo, e ancora avanti con una lista lunga e preziosa di personaggi, non meriterebbero un monumento vero in materiale lapideo, di quelli aulici che li rappresentano a grandezza naturale, con un bel basamento e gli elementi che contraddistinguono il loro operato in campo artistico, scientifico, ecc.? Per me sì.
Dove voglio arrivare? Precisamente ai giardinetti pubblici dove via Ristoro si interseca con via Bartolomeo della Gatta. Siamo a 150 passi (contati) dal Bastione di San Giusto e a 300 passi da Porta Trento Trieste, quindi non in una traversa di Pratacci.
In quel luogo, oggi anonimo, si potrebbe valorizzare uno dei più grandi artisti del Rinascimento, il secondo per importanza tra quelli che hanno operato ad Arezzo e nel resto del nostro territorio nel secondo Quattrocento dopo Piero della Francesca.
Sto parlando di Piero di Antonio Dei, meglio conosciuto come Bartolomeo della Gatta, pittore, miniatore, architetto, musicista, costruttore di strumenti, nonché monaco camaldolese.
Nato nel 1448 a Firenze, egli visse e lavorò, dal 1470 circa fino alla morte, avvenuta nel 1502, quasi sempre ad Arezzo e circondario. Ancora sono tanti (non tantissimi) i capolavori che ci ha donato e che si possono ammirare in città e provincia; la sua ‘patria’ adottiva, tuttavia, lo omaggia con una traversa che è più corta dello ‘stradone’ di ghiaia che vi porta a casa mia.
Affidare la statua a un autore già famoso costa troppo? (già li vedo tirare fuori la solita scusa…) Le istituzioni mettano allora su una collaborazione con un’Accademia italiana, coinvolgendo i giovani scultori iscritti con un concorso d’idee. Carrara, Firenze o dove vi pare sono certo che non direbbero di no. Dopodiché, servirà solo uno sponsor che porti ad Arezzo – o dove dovrà essere lavorato – un bel blocco di marmo.
Se abbiamo la voglia di fare le cose, le soluzioni e i soldi si trovano. Il potenziale ‘Giardino Bartolomeo della Gatta’, con un monumento al centro e una studiata illuminazione, acquisterebbe tutta un’altra dimensione per chi abita lì intorno o ci passa per infilarsi nel quartiere Giotto.
L’artista rinascimentale, infine, avrebbe quel riconoscimento che gli spetta di diritto da oltre cinque secoli. Meglio tardi che mai…
Marco Botti, giornalista culturale e curatore