I Giardini del Praticino, di fronte alla Biblioteca “Città di Arezzo” (già Palazzo Pretorio), accolgono una scultura che racchiude una lunga storia in cui la campagna aretina fa da scenografia a grandi amicizie, confronti di saperi diversi e incontri tra giganti della cultura mondiale del Novecento.
Tutto ha inizio nel 1957, quando Abel Vallmitjana, pittore, scultore e incisore nato in Catalogna nel 1910, giunge ad Arezzo dopo una vita fatta di viaggi ed esperienze in tutto il mondo, che lo avevano segnato nell’anima e influenzato dal punto di vista artistico. Lo spagnolo era un convinto oppositore del regime franchista e così, alla pari di molti altri suoi connazionali, aveva lasciato la Spagna per vivere da esule. Durante la sua permanenza in Venezuela conobbe la futura moglie, Clarisa da Silva, con la quale negli anni Cinquanta sbarcò in Italia, spronato da un parente di lei che lavorava all’Ambasciata venezuelana di Roma.
I due si trasferirono a Villa Guillichini, alle porte di Arezzo, nella frazione di Tregozzano. In una delle più belle dimore settecentesche del circondario, immersa nel verde, Vallmitjana trovò dopo tanto pellegrinaggio il suo ambiente ideale. Lì inaugurò un laboratorio di incisione.
L’artista aveva stretto negli anni solide amicizie con i mostri sacri della letteratura mondiale, e così era facile vedere in zona gente del calibro di Pablo Neruda, Gabriel Garcia Marquez, Miguel Otero Silva, Rafael Alberti e Miguel Ángel Asturias Rosales, che facevano a gara a soggiornare a “Casa Vallmitjana” per ritemprare lo spirito, trovare l’ispirazione, confrontare le idee o semplicemente assaporare l’inebriante atmosfera agreste aretina, soprattutto durante la bella stagione.
Ben presto la villa divenne uno dei circoli culturali e d’avanguardia più importanti di Arezzo, dove i migliori talenti artistici locali – Dario Tenti, Orlando Cavallucci e i fratelli Francesco e Mario Caporali tanto per citarne qualcuno – entrarono in contatto con una figura di respiro internazionale, che seppe orientarli nella giusta direzione. Grazie a Vallmitjana furono allacciati rapporti tra Arezzo e l’America Latina e i quattro pittori sopracitati, fondatori della Galleria d’arte moderna “L’incontro”, poterono organizzare mostre a Caracas e Merida nel 1959.
Neruda adorava sostare a Tregozzano e in una delle sue visite vide il modello in gesso di una scultura che rappresentava due figure femminili abbracciate, dall’espressione angosciata e sofferente. Guardandole il grande poeta cileno le definì “La Hermana y La Herida”, ovvero “La Sorella e La Ferita”.
Purtroppo il 21 febbraio 1974, quando Vallmitjana morì, l’opera non era stata ancora fusa. La consorte, decisa a offrire qualcosa alla città che li aveva accolti con così grande affetto, si rivolse ai tanti artisti che avevano avuto la fortuna di conoscere il catalano, i quali inviarono ad Arezzo le loro creazioni per raccogliere le cifre utili a reperire il bronzo e fonderlo. I lavori vennero valutati e il loro importo globale fu suddiviso per le persone che avevano aderito alla raccolta. I partecipanti devolsero così tutti la stessa quota e le opere vennero cedute a sorteggio.
Il progetto trovò l’appoggio delle istituzioni e la scultura venne così collocata nei piccoli giardini delimitati dalla Biblioteca, da un lembo delle Logge vasariane e dai ruderi del Palazzo del Popolo.
In seguito gli aretini continuarono a ricordare con simpatia lo spagnolo e nel 1994, a vent’anni dalla scomparsa, il locale Centro Unesco festeggiò il suo decennale proprio con un convegno internazionale su Vallmitjana, figura che nella sua permanenza in terra d’Arezzo fu come un raggio di sole fulgido e arricchì il bagaglio culturale di tanti.
Marco Botti