Difficile pensare che stasera non potremo stare seduti a centinaia in piazza San Giusto, con le spalle e le braccia che toccano quelle dei nostri amici e gli sguardi rivolti ai Giostratori.
La Cena Propiziatoria è un rito. Una tappa fondamentale della Giostra.
È il momento in cui la testa realizza cosa accadrà l’indomani portando i battiti del cuore ad un ritmo sempre più elevato.
La “Propiziatoria” è il più bel momento di aggregazione sociale che i quattro Popoli di Arezzo possano vivere, in quel tripudio di emozioni e spensieratezza che solo il Quartiere riesce a dare.
Ognuno la vive a suo modo, tra mille sfumature.
Ma per tutti, è l’interminabile sera che precede il colpo di mortaio.
Quel “suono”
che dà inizio alla festa più bella del mondo.
Da “Il Saracino trionferà ancora”
Le ultime panche sono state messe in fila, i fiori sul tavolo dei giostratori sono stati disposti con cura dalle mani sapienti di una ragazza che stira per l’ultima volta la tovaglia con la mano, quasi come se dovesse dare una carezza al destriero che galopperà su quella striscia di terra infinita. Le bandiere sventolano fiere mentre le porte, i bastioni e le mura vegliano sulle piazze in attesa che il popolo si riunisca intorno agli eroi di piazza Grande.
Le urla e i sorrisi sono il preludio dell’atmosfera che genera la cena propiziatoria, il ritrovo di una comunità che si riconosce in uno stemma, in due colori, in un motto e in quei valori che rendono unico e inimitabile il proprio quartiere. Il sudore che scende dalla fronte dei volontari è l’immagine più forte di questo momento, perché ogni pietanza, ogni addobbo, ogni dettaglio è solo ed esclusivamente frutto del tempo libero di quelle persone che fanno vivere il quartiere e la Giostra nella sua totalità. Tra un canto e un abbraccio, uno sguardo intenso e una lacrima, le antipatie e i disaccordi vengono in secondo piano, perché davanti a te qualcuno con il tuo stesso fazzoletto al collo vive quelle emozioni che sono la linfa, l’essenza di quello che anche tu stai vivendo.
I giostratori stringono mani amiche e sconosciute mentre passano tra i tavoli in festa, scortati dal Rettore e il Capitano, quelle persone che la notte prima della Giostra vanno a letto senza dormire, perché la strada intrapresa dal Quartiere è frutto delle loro scelte. Loro, che sanno cosa significa alzare una lancia d’oro al cielo. Le mani dei giostratori adesso sono appoggiate su quella tovaglia, quasi ad accarezzare la mano di quella giovane quartierista che adesso è seduta davanti a loro, felice e speranzosa che il suo piccolo gesto possa contribuire a qualcosa di grande.
La notte è lunga, il quartiere esplode in una festa quasi paradossale dato che nessun brocco dorato è ancora riposto nella rastrelliera del museo delle vittorie. Qualcuno si apparta a fare l’amore, altri si riparano dalla musica con i veterani del rione in cerca di aneddoti che creino il dibattito sul Saracino che fu, altri ancora hanno da un bel pezzo accompagnato i loro bimbi nel proprio letto e riposto con cura il fazzolettino nella carrozzina in attesa che l’indomani inizi il Bando, il richiamo dell’Araldo a partecipare al torneamento.
Il primo colpo di mortaio avverte la città che la festa sta entrando nel vivo. Così come le mille cabale che passano per la testa di chi dovrà varcare la soglia di Borgunto e guardare in faccia Buratto Re delle Indie. Un bicchiere di vino aiuta a smorzare la tensione, in attesa del ritrovo in sede con i tuoi fratelli, coloro con cui andrai a condividere l’adrenalina pura che parte dalla sfilata. Una volta riposta la spada nel fodero e toccata per l’ultima volta la cotta di ferro che ti protegge il viso, il passo si fa marziale, al tempo dei tamburi che richiamano la marcia di guerra. Davanti al proprio oratorio il prete di quartiere impartisce la benedizione, ultimo atto prima di sfilare insieme ai tuoi avversari.
Dopo la breve sosta davanti alla chiesa che custodisce il crocifisso di Cimabue, i soldati e i cavalieri si recano davanti alla Cattedrale, scortati dal suono delle chiarine che bombardano la parte più delicata del tuo cervello: quella sensibile alle emozioni. Il Vescovo, accompagnato dall’elmo e la spada dei Tarlati, evoca una notte di festa e di correttezza nel nome di Arezzo, mentre i soldati provano a sorreggere la lancia e lo scudo con una mano per farsi il segno della croce.
Il corteo è partito e il cuore batte a mille, sia dentro al corpo di chi veste il costume, sia in quello di chi è lungo la strada a sostenere i suoi eroi e i suoi fratelli, che portano per le strade della città le insegne che ti rappresentano. Gli occhi si incrociano lungo il percorso, gli sguardi si sfidano con chi è pronto a lanciarti l’offesa gratuita, frutto di quella filosofia per cui in Giostra tutto è lecito perché tanto, l’indomani, ci penserà un buon caffè al bar a fare da pacere.
Le spalle degli armati sono dolenti, le mani che sorreggono i vessilli sudate, i polsi dei tamburini indolenziti, le gambe che percorrono la salita di via Mazzini sempre più pesanti. La quiete arriva in piazzetta del Praticino, dove un sorso d’acqua e una sigaretta riescono a darti la forza necessaria ad affrontare il momento più intenso, più vero. Il buio cala sul cielo di Piazza Grande mentre dai tetti si scorge solamente la torre illuminata di palazzo Lappoli. La testa pensa a tutto e pensa a niente. I volti dei figuranti sono tirati, affaticati, ma tremendamente fieri. I giostratori sono in qualche vicolo da soli, fermi a ripassare dentro la propria testa i movimenti della lancia e del corpo, speranzosi di avere la massima collaborazione del proprio destriero. Ma nel momento in cui un nuovo pensiero sta per scontrarsi contro la razionalità ecco che arriva il momento.
Come il fulmine che precede il tuono, il colpo di mortaio richiama lo squillo inconfondibile che da inizio alla Giostra. Borgunto ormai è l’ultimo baluardo prima di entrare in piazza Grande, il luogo in cui ogni anno un popolo intero, quello aretino, torna indietro nel tempo memore delle gesta dei grandi cavalieri che hanno segnato la storia più gloriosa di Arezzo. E di fronte a quelle mura, tra l’impresa degli Eroi e le mille mani al cielo che stringeranno forte la lancia d’Oro, il Saracino trionferà ancora.
Saverio Crestini (già pubblicato su arezzoitaliamondo.wixsite.com/blog. 16 giugno 2017)