Chissà quante volte, nelle vostre scampagnate sull’Alpe di Poti, sarete passati davanti a quel gioiellino di architettura romanica che è la chiesa di San Severo.
Proviamo a ripercorrerne le vicende, ricordando che ci troviamo nella zona che fa da spartiacque tra il Tevere e l’Arno e tenendo presente che Poti, oltre a essere un divisorio naturale tra i due bacini idrografici, tra VI e VII secolo segna anche un vero e proprio limes nelle lotte tra bizantini e longobardi.
I secondi, calati in Italia intorno al 568 d.C., occupano ben presto una larga fetta del territorio peninsulare e la stessa Arezzo è conquistata prima della fine del VI secolo. Costretti a un brusco arretramento, i bizantini creano una linea difensiva che passa proprio dalle montagne a est della città; in quella fase probabilmente sorge la chiesa di San Severo, dedicata al primo vescovo di Ravenna vissuto nel IV secolo. Va infatti rammentato che la città romagnola è la capitale dell’Esarcato e quindi Severo uno santi più amati dai bizantini in Italia. A pochissimi chilometri di distanza viene invece eretta la chiesa di San Marino, oggi connotata da pochi ruderi, ma che nel nome palesa un’altra intitolazione bizantina a un santo di origine dalmata, anch’esso del IV secolo.
In un documento del 1051 la chiesa di San Severo figura sotto il patronato della potente abbazia di Sant’Antimo, nei pressi di Montalcino. In quell’anno, infatti, l’imperatore Enrico III ne concede il patronato all’abate Teuzzone.
Nel XII secolo l’edificio sacro è ricostruito nelle forme che possiamo ancora ammirare. In particolare la facciata, capolavoro di semplicità giunto a noi pressoché intatto, rappresenta una perla di arte romanica locale con portale architravato e monofora a doppio strombo.
Nella Visita Pastorale del 18 aprile 1535, promossa dal vescovo Francesco Minerbetti, la chiesa è sotto il patronato dei Gozzari e dei Montebuoni. Il rettore è Francesco Gozzari, che ritroviamo anche nella Visita del 17 luglio 1550, quando si parla di edificio in cattive condizioni.
Nella Visita Apostolica del 1583 eseguita dal vescovo di Sarsina Angelo Peruzzi, su incarico di papa Gregorio XIII, San Severo risulta già unita, alla pari di San Marino, alla chiesa di San Lorenzo a Pomaio. In un documento redatto il 24 settembre 1603 il vicario del vescovo Pietro Usimbardi torna però a parlare di “chiesa parrocchiale”, questa volta retta da Giuliano Angelo di Quarata, sotto il patronato delle famiglie Gozzari e Montelucci di Arezzo.
A quest’ultima data si aggancia anche Angelo Tafi nel suo Immagine di Arezzo. La città oltre le mura medicee e il territorio comunale del 1985, quando afferma che, a causa del continuo spopolamento, San Severo in quello stesso giorno cessa di essere parrocchia e il suo territorio viene assegnato a quello di Pomaio. Di questo atto, tuttavia, nelle Visite non c’è traccia. Come avrete intuito, quindi, il ventennio 1583-1603 che segna il declino della chiesina è ancora tutto da chiarire.
Ancora oggi la chiesa di San Severo è a navata unica, in buona parte ricostruita (soprattutto nel lato destro). Presenta un’abside semicircolare e un piccolo campanile a vela, anch’esso rifatto ex novo, che accoglie una campana datata 1301. L’interno, ristrutturato negli ultimi anni, è contrassegnato da un piccolo altare sormontato da un Crocifisso di autore ignoto e da una porta laterale tamponata.
Di fronte alla facciata un monumento ricorda uno degli episodi più feroci legati alle stragi naziste nel territorio aretino, per il quale la frazione di San Severo è tristemente conosciuta.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la conseguente occupazione tedesca dell’Italia, la montagna aretina diviene infatti luogo di conflitti tra i nazisti e la XXIII Brigata Garibaldina Pio Borri. Il mattino del 14 luglio 1944 un gruppo di soldati tedeschi, ormai in ritirata, esegue un rastrellamento in tutta la zona di Poti, dove hanno trovato riparo molti sfollati della città. Dopo aver arrestato 19 persone, accusate di far parte delle bande partigiane o di proteggere la loro clandestinità, ne rilasciano tre e accompagnano le altre in un bosco per fucilarle. I 16 trucidati, tutti uomini, hanno un’età compresa tra 17 e 67 anni.
L’episodio è ricordato in Notte di San Severo, canzone del gruppo aretino Casa del Vento contenuta nell’album 900 del 2001. Tra le fila della band di combat folk, nota anche per le recenti collaborazioni con Patti Smith, figurano i cugini Luca e Sauro Lanzi, che nel massacro del 1944 perdono il nonno.
I Modena City Ramblers hanno reinterpretato questo toccante pezzo nel 2005 per il loro disco Appunti partigiani, che ha visto la partecipazione di artisti del calibro di Francesco Guccini e Piero Pelù.
Marco Botti