Se scaramanzie e scongiuri sono, o forse sono stati, il sale dei giorni precedenti il Saracino la notte della vigilia la giostra, questo bene un tempo prezioso, abitualmente usato per rendere sapido il cibo, ne diventava il protagonista indiscusso. Concludiamo la saga dei ricordi con il terzo racconto:
Il sale della Lizza
Negli anni ’80, ben prima che l’allenatore della Longobarda Oronzo Canà lo facesse diventare una pratica popolare, l’abitudine di usare il sale per cospargere la Lizza, che a quel tempo la notte non veniva coperta, era diventata una tradizione, almeno a Porta Sant’Andrea.
Erano i tempi della sede provvisoria al “Circolino” di san Gimignano e dopo la cena propiziatoria, a mezzanotte precise, ci recavamo in gruppo verso piazza Grande e lì, tra cori, risate e riti personali, la lizza e in particolare la trave che regge il Buratto, venivano abbondantemente ricoperte con pacchi di sale sottratti dalla cucina del Quartiere (farsi consegnare il sale dagli addetti alla cucina era tutte le volte frutto di estenuanti trattative, essendo presenti due opposte fazioni: quella del “ne basta un pacco!”, capeggiata dal Bazzina e dal Noccelo e l’altra, che avrebbe svuotato anche le saline di Volterra, composta dai più giovani).
La serata si concludeva salendo nelle tribune rimanendo lì a cantare cori giostreschi, visto che all’epoca la musica nelle piazze dopo le cene non era neppure immaginata.
Tra tante serate ne ricordo una in particolare: erano gli anni che ancora “sant’Andrea poverino…” quindi i rapporti con i “cugini” rossoverdi erano tutto sommato abbastanza buoni, tanto che i cronisti del Saracino, forse in maniera un po’ grossolana, parlavano di due alleanze, una tra Colcitrone e sant’Andrea e una tra i Bastioni e san Lorentino. Insomma quella sera, noi biancoverdi eravamo nella tribuna A e i rossoverdi nella tribuna B, iniziammo alternativamente a intonare cori e sfottò gli uni verso gli altri, con tanto di scambio di applausi per quelli avversari che avevano fatto ridere tutti. Paion novelle ma è vero!
Negli anni successivi i più grandi, che iniziavano ad avere mogli e figli, rimanevano al Circolino ma la generazione più giovane continuò la tradizione, soprattutto due personaggi, il Nana e Stommacone, particolarmente sensibili a cabale e scaramanzie. Il Nana, che aveva un po’ studiato latino e servito Messa in parrocchia, con la consulenza di don Renato, una volta arricchì il rituale con delle vere e proprie orazioni in un latino maccheronico: mentre si spargeva il sale, uno intonava per tre volte, una per ciascun quartiere rivale, l’orazione “AB VICTORIA PORTAE FORI…” ecc per tutti gli altri, ed il resto dei presenti rispondevano “LIBERA NOS DOMINE!”. A termine c’era l’invocazione “PRO VICTORIA NOSTRI QUARTI PORTAE SANCTI ANDREAE…” e tutti cantavano “TE ROGAMOS AUDI NOS!”
Una volta lì sulla lizza c’era anche l’indimenticato Tonino Morelli, storico dirigente di Colcitrone, che segui divertito la cosa e, al momento dell’invocazione “contro” il suo quartiere, abbracciò a pugni chiusi l’oratore dandogli un’amichevole “strizzatina”, tra le risate di tutti i presenti. L’oratore era un giovanissimo Nana e da quella sera Tonino iniziò a salutarlo con calore ogni volta che lo incontrava, per la felicità del giovane biancoverde che considerava quel saluto come il riconoscimento di un accresciuto status sociale giostresco.
Quella tradizione sulla lizza finì per un concorrere di motivi: sant’Andrea iniziò a vincere troppo per i “cugini di montagna” e le uscite in piazza iniziarono a degenerare in risse; la dirigenza quindi pose fine alla tradizione collettiva, con il dispiacere di molti, in particolare dell’appaltino di piazza san Giusto.
Ognuno iniziò a fare i propri scongiuri ma per un po’ di anni ancora, verso la fine delle cene oramai in piazza san Giusto, qualcuno notava uno dei due “iper scaramantici” uscire furtivo dalla cucina con un pacchetto in mano, montare in un motorino guidato dall’altro, che lo attendeva in fondo a via Fontanella per poi dirigersi assieme verso la parte alta della città, senza dare nell’occhio come novelli “ladri di Pisa”.
giesse (foto da internet)