È noto il ruolo avuto da Michelangelo Domigiani nella costruzione della chiesa di S. Maria delle Grazie, costruita alla metà del Quattrocento sul luogo dell’antica Fonte Tecta, bersaglio della predicazione del francescano Bernardino da Siena (1380-1444) perché sede di residue pratiche rituali paganeggianti. Nel capitello a sinistra dell’altare un’iscrizione dà notizia del lascito di cento fiorini fatto dal Domigiani agli “operai” della nuova chiesa. Si tratta di una cifra ragguardevole (una bottega della famiglia posta nell’attuale corso Italia era accatastata per 64 fiorini), tale da meritare anche l’apposizione dello stemma di famiglia sullo stessa colonna dove ancor oggi si vede scolpito sulla pietra. Del fatto danno puntualmente notizia gli storici aretini che si sono occupati della chiesa e del consortato: fra gli altri, Corrado Lazzeri, Ubaldo Pasqui ed Angelo Tafi.
Come testimoniano il nome e le figure dello stemma, i Domigiani traggono origine dal colle suburbano di Pionta dove per secoli ebbe sede la cattedrale aretina detta “Duomo Vecchio”. L’esercizio delle professioni legate al diritto e al notariato lasciano anzi ipotizzare l’appartenenza della famiglia a quel ceto di notabili laici che assistono il vescovo e la curia nell’espletamento degli affari ecclesiastici e civili ed il suo inurbamento in Arezzo a seguito del trasferimento dell’episcopio in città all’inizio del Duecento. Tanto più che troviamo i Domigiani insediati nella parte alta del Borgo Maestro, a pochi passi dal grande palazzo a valle della Pieve cittadina che accolse inizialmente il vescovo dentro le mura.
Fin dalla metà del Trecento, con il “giudice” Francesco di Feo, la famiglia appare ai vertici della società del suo tempo, schierata nel campo guelfo e politicamente orientata in senso filo-fiorentino. Non stupisce così che pochi decenni più tardi un altro Domigiani, ser Cristoforo di ser Lodovico “giudice ordinario e notaio pubblico”, sia impegnato con continuità negli uffici della curia vescovile e sia un importante esponente del “partito” arciguelfo, al punto da stendere l’atto con cui i guelfi aretini approvano il passaggio della città sotto la dominazione fiorentina (14 novembre 1384). Negli stessi anni i Domigiani sono inclusi nel novero dei 45 consortati più importanti di Arezzo: uno dei sette del Quartiere di Porta Sant’Andrea.
Il figlio Michelangelo fa ulteriormente progredire la posizione della famiglia. Si impegna nella mercatura ed acquista beni immobili in tutto il “distretto” aretino, tanto da risultare nel 1458 il quindicesimo “contribuente” di Arezzo e da disporre il consistente lascito a favore della chiesa di S. Maria delle Grazie. Nel 1453 viene inviato a Firenze a rappresentare, insieme a messer Benedetto Accolti, il Comune aretino alle esequie del defunto cancelliere della Repubblica, il concittadino Carlo Marsuppini. Nel corso della vita (1401 ca.-1462) Michelangelo ricopre innumerevoli cariche pubbliche, fra le quali per tre volte quella di gonfaloniere di giustizia (equivalente dell’attuale sindaco) e quella di “riformatore”, di cruciale importanza per tutto il Quattrocento. Alla sua morte si estingue la famiglia Domigiani. Viene sepolto in Pieve ed i suoi beni passano alla vedova Maddalena Lippi, dalla quale andranno al monastero di S. Chiara Novella o delle Murate. La figlia Lucrezia sposerà nel 1464 l’uomo d’arme Gregorio Mazzoni di Anghiari, un cui figlio diverrà conte di Urbech in alto Casentino, succedendo ai Guidi di Modigliana.
Luca Berti
* Rielaborazione dell’articolo apparso in “Notizie di Storia” n. 38 (Dicembre 2017) e “La Voce”, 18 febbraio 2018.