Ci sono due correnti di pensiero riguardo il valore di una vittoria. C’è chi dice che la più bella è sempre l’ultima e chi pensa che la più appagante sia la prossima. Elementi per smentire l’una o l’altra tesi non esistono perché, a ben guardare, sono vere entrambe.
In questo momento, dovessimo fermare il tempo e far votare il popolo, a Sant’Andrea ci sarebbe un plebiscito per la prima opzione: troppo lunghi cinque anni di digiuno per un quartiere abituato a uscire festante dalla piazza. Troppo gravosa l’astinenza da lancia d’oro, dovuta alla pandemia, alle insidie fisiologiche del nuovo corso biancoverde, al valore di avversari super competitivi. E allora è impossibile pensare che l’impresa del 17 giugno sia uguale alle altre. Nella storia ci sono stati altri periodi complicati, è vero, ma l’ultimo ha prosciugato le energie in modo feroce. Ed è per questo che le celebrazioni della 38esima hanno creato un’atmosfera più carica del solito.
Poi però, smaltite la sbornia e l’euforia, va recuperato il raziocinio. E tutti sanno che ogni successo serve solo a rimettersi in gioco, che i giorni passano e a settembre bisognerà tornare sulla lizza, che il passato a un certo punto non conterà più e farà fede solo il presente. Metabolizzato questo, è chiaro che i connotati della vittoria che verrà (se verrà) hanno contorni sfumati e dolcissimi insieme, più dolci ancora di quelli di oggi. E quindi la seconda opzione diventa solida come il marmo.
Una cosa è sicura: Sant’Andrea ha recuperato il suo posto nelle gerarchie di Giostra, primeggiando in una notte epocale per emozioni, colpi di scena, pathos. Tre centri e un quattro dicono che il livello della contesa è stato altissimo e questo impreziosisce il trionfo finale, in un mix di abilità, concentrazione, forza e, perché no?, di quel refolo di buona sorte che è indispensabile per raggiungere i grandi obiettivi.
Di istantanee simboliche, legate all’ultima conquista, ce ne sono diverse: il guizzo di Saverio che riprende al volo la lancia dopo aver annerito il pomodoro, il pianto liberatorio di Tommaso dopo l’ultimo annuncio dell’araldo, la commozione del Capitano, l’adrenalina del Rettore sul palchetto. Ma l’icona della serata è l’incedere lento, inesorabile di Martino verso il pozzo per accompagnare Syria, Conte e i giostratori. Quasi che in cuor suo avesse saputo già come sarebbe andata a finire.
Andrea Avato
(foto di Alessandro Falsetti)