Più del rumore del buratto che gira, dei foulard annodati al collo, delle cene, delle prove, dell’albo d’oro, mi manca l’atmosfera. Sì, l’atmosfera. Mi manca ancora più della Giostra in sé, delle carriere, dei punteggi, della voce dell’araldo, della piazza. E’ l’atmosfera la vera droga del Saracino ed è quest’assenza che si fa sentire. Non c’è l’attesa dell’evento, non c’è l’adrenalina della sfida, non c’è la curiosità della gente. E’ la prima volta che capita dai tempi della guerra e il vero guaio è se non sarà anche l’ultima.
C’è chi dice che la Giostra è sempre uguale. Sbagliato. Due Giostre identiche non si sono mai viste e se qualcuno ne ha il sospetto vuol dire che è stato il suo sguardo, il suo stato d’animo a fregarlo. C’è chi dice che la Giostra è noiosa. Sbagliato. Ogni gesto, sopra la lizza e lì intorno, ha una sua valenza, un’importanza legata al contesto. Anche le pause, i tempi morti, le mezz’ore sospese tra una carriera e l’altra sono funzionali alla storia che va in scena. Qualche angolo dello spettacolo si potrà anche smussare, ma se qualcuno si annoia, vuol dire che la sua indole è troppo spassionata.
C’è pure chi sostiene che un anno senza Giostra cosa vuoi che sia. Doppiamente sbagliato. La Giostra scandisce tempi e stagioni, è un aretinissimo orologio, un termometro di emozioni, è un balsamo per quel senso d’appartenenza che non coltiveremo mai abbastanza.
Oggi farò un salto in piazza Grande a caccia di un dettaglio, di un brivido sulla pelle. Senza squilli di chiarine e senza colpi di mortaio, ma tanto la Giostra, alla fine, ce la portiamo dentro bene al sicuro.
Andrea Avato