Sabato 14 gennaio si aprirà l’anno giostresco 2017 con la cerimonia dell’Offerta dei Ceri al Beato Gregorio X. La celebrazione si svolge ormai da venti anni. I quattro Quartieri della Città, preceduti dal Gruppo Sbandieratori, dal Gruppo Musici “William Monci” e dall’associazione Signa Arretii, si recheranno in Cattedrale per rendere omaggio a Papa Gregorio X nell’anniversario della sua morte con la donazione dei ceri votivi.
PROGRAMMA
Ore 18.00. Ritrovo delle rappresentative dei Quartieri, del Gruppo Musici, degli Sbandieratori, dei Fanti del Comune e dei Valletti in Piazza San Jacopo. Seguirà l’esibizione del gruppo Musici della Giostra e del gruppo Sbandieratori Città di Arezzo.
Ore 18:30. Inizio del corteo dei figuranti per raggiungere Piazza del Comune attraverso Corso Italia, Canto De’ Bacci, via Cavour, via Cesalpino fino a Piazza della Libertà.
Ore 18:45. Uscita del Sindaco della Città di Arezzo dal Palazzo Comunale, seguito dalla rappresentanza civile della Giostra e dai Quartieri.
Ore 19:00. Ingresso dei figuranti in Duomo e Offerta dei Ceri.
Ore 19:30. Rientro in Palazzo Comunale del Sindaco e della rappresentativa comunale, mentre i figuranti dei quattro Quartieri rientrano nelle rispettive sedi.
PAPA GREGORIO X (la storia)
Il nome vero di papa Gregorio X è Teodaldo Visconti, nato a Piacenza intorno al 1210. Le cronache lo descrivono di temperamento “mite e sereno”, tanto che un influente prelato, il concittadino Giacomo da Pecorara, cistercense, lo volle con sé per farlo studiare a Lione, Liegi e Roma. A Parigi poi ebbe come condiscepoli addirittura San Bonaventura e San Tommaso. Quando venne eletto papa, nel 1271, si trovava in Terrasanta dove si rese conto di persona della necessità di una crociata, un grande desiderio che non riuscì però a coronare, e dove incontrò Marco Polo e i suoi fratelli di ritorno dalla loro avventura in estremo oriente. Un Papa, quindi, sicuramente “internazionale” e con una predisposizione particolare per l’Oriente. Era di ritorno, in compagnia del nostro vescovo Guglielmo degli Ubertini, proprio dall’importante concilio di Lione dove aveva tentato con forza di ricucire lo strappo tra la chiesa di occidente e quella di oriente, in nome di quella unità che tanto desiderava, quando si ammalò e fu costretto a fermarsi nella nostra città con altri eminenti cardinali. Morì nella nostra città in quel lontano 10 gennaio 1276 ed alla nostra città donò un cospicuo lascito per costruire una nuova Cattedrale.
Per onorare questo grande Papa, poi beatificato e dichiarato “co-patrono” assieme a San Donato, la città di Arezzo fin dal 1327 decise che ogni anno si dovesse solennizzare l’anniversario della sua morte con una imponente cerimonia in Duomo con l’offerta di ben 100 libbre di cera.
L’elezione lontano da casa
Nel 1270 era insieme a Edoardo I e l’esercito d’Inghilterra in terra santa, a San Giovanni d’Acri (considerata la “chiave delle Palestina”), quando in Italia, precisamente a Viterbo, si svolse il concistoro dei vescovi per l’elezione del nuovo Papa a causa della morte di Clemente IV il 29 novembre 1268. E’ così che 19 cardinali si riunirono nel palazzo papale di Viterbo per procedere all’elezione del nuovo pontefice. Questi erano divisi in due grossi partiti: quelli a favore di un papa francese e quelli a favore di un papa italiano; anche per questo motivo i vescovi non riuscivano a raggiungere il numero canonico per l’elezione. Passarono mesi, anni, tanto da far infuriare il popolo viterbese che, istigato da San Bonaventura, chiuse i cardinali in una stanza scoperchiandone il tetto e segregandoli (clausi cum clave); solo dopo 3 anni e 5 mesi arrivarono alla decisione di nominare 3 cardinali di un partito e 3 dell’altro con l’obbligo di scegliere un nome. La scelta, alla fine, cadde su Teodaldo Visconti il 1° settembre 1271. In tutto questo tempo, durante la sua permanenza ad Acri, Teodaldo incontrò Marco Polo, presente in Medio Oriente per raccogliere l’olio della santa lampada, con il quale strinse amicizia tanto che il viaggiatore diventò un importante interlocutore tra lui e il Gran Kahn Kublai Kahn (è per questo che l’evento viene raccontato nei primi capitoli del Milione). Venne a sapere della sua elezione nell’autunno del 1271 e alla notizia si recò subito a Gerusalemme per pregare nei luoghi santi. A novembre di quell’anno tornò in Italia e nel febbraio del 1272 si recò a Viterbo dove venne ordinato sacerdote, consacrato vescovo prendendo infine il nome di Gregorio X. L’11 marzo arrivò finalmente a Roma e il 27 marzo 1272 fu incoronato papa in San Pietro.
Il Concilio di Lione
Gregorio X era un uomo di grande statura e grande fama, grande moralità e grande stima. Fu amico del re di Francia Luigi IX. La sua prima intenzione una volta eletto papa fu quella di convocare un concilio ecumenico per riunire tutti i prìncipi cristiani per ricomporre l’unione tra la chiesa latina e la chiesa greca, aprire il mondo cristiano al grande impero cinese. Questo si tenne a Lione il 7 maggio del 1274 e fu uno dei più importanti e partecipati della storia della Chiesa (durante il quale morì San Bonaventura). Grazie a questo concilio per la prima volta comparvero in Europa gli ambasciatori del Gran Khan Kublai Khan, nipote di Gengis Khan in rappresentanza della chiesa d’oriente. In questo storico appuntamento Gregorio X tentò la riconciliazione tra guelfi e ghibellini, ottenne la dichiarazione della ricomposta unità tra le due chiese (latina e greca) e promulgò il decreto Ubi periculum (16 luglio 1274) che stabiliva le modalità per le elezioni del papa, da allora detto conclave (cum clave, chiusi a chiave fino all’elezione): questo prevedeva che entro dieci giorni dalla morte del papa i cardinali elettori si riunissero in una sala del palazzo dove risiedeva il pontefice defunto e li dovevano essere segregati senza contatti con l’esterno; trascorsi tre giorni senza che fosse avvenuta l’elezione, ai porporati doveva essere ridotto il vitto ad una sola pietanza per pasto; dopo altri cinque giorni il cibo doveva essere ulteriormente limitato a pane, vino e acqua. Tra i firmatari di questo documento, è bene ricordarlo, c’è il sigillo e la firma del vescovo Guglielmino degli Ubertini. Durante il viaggio di andata verso il concilio di Lione (che partì da Roma nel 1272) accadde un fatto molto particolare: Gregorio X si fermò a Firenze il 18 giugno 1273 dove sul greto dell’Arno, in un grande padiglione, assistette al bacio di pace tra i capi dei guelfi e dei ghibellini. Dietro a questo padiglione, però, l’esercito guelfo era pronto ad attaccare quello ghibellino una volta partito il papa; questi lo seppe e per punizione diede l’interdetto (una sorta di scomunica) alla città e proseguì per Lione.
Il Viaggio di Ritorno e la morte ad Arezzo
Gregorio X lasciò Lione nell’aprile del 1275. Nel viaggio di ritorno, poiché l’Arno era in piena, dovette passare per forza da un ponte di Firenze: dato che non poteva transitare in una città punita dall’interdetto, lo tolse, lo passò e lo rimise.
Venne nella città di Arezzo per celebrare le feste di Natale tra il 19 e il 20 dicembre 1275, anche se in verità fu una sosta forzata a causa della malattia che lo colpì durante il viaggio, come lui stesso afferma e scrive nelle lettere all’imperatore Rodolfo di Asburgo. In città ebbe un miglioramento, visitò quasi sicuramente il Duomo vecchio al Pionta, ma poi aggravatosi morì il 10 di gennaio 1276 nel palazzo vescovile. Gregorio X verrà poi beatificato nel 1713 da papa Clemente XI.
Cosa lasciò Gregorio X dopo la sua morte
Tra le esposizioni testamentarie del papa ci fu un lascito di 30.000 fiorini d’oro per la costruenda cattedrale di Arezzo i cui lavori, voluti da Guglielmino, iniziarono nel 1278. Subito dopo la sepoltura del papa gli aretini costruirono il monumento funebre che nella nuova cattedrale fu collocato nella cappella di San Silvestro, a lato sinistro dell’altar maggiore. Nei secoli successivi il corpo del pontefice, estratto dall’arca marmorea e rivestito di paramenti nuovi, fu collocato nel 1831 all’interno di un’urna realizzata da Giuseppe Spagna e collocata sotto l’altare marmoreo di Giuseppe del Nero. Nel 1975 l’urna fu spostata sopra l’altare e la salma del Beato Gregorio fu munita di una maschera in bronzo.
Perché la donazione dei ceri
È una tradizione antica che ogni comunità rivolge ai suoi santi patroni, come si fa per San Donato e come risulta dagli antichi statuti di Arezzo del 1327 nei quali è sancito che Papa Gregorio dovesse essere festeggiato con una grande cerimonia e col dono dell’offerta dei ceri. Poiché si è scelto di iniziare l’anno giostresco nel mese di gennaio, l’offerta dei quartieri ai santi patroni viene rivolta al Beato Gregorio nel giorno della sua festa: il 10 gennaio. Teodaldo Visconti, appena avuta la notizia dell’elezione a papa, prima di partire per Viterbo, stendendo la mano sul Santo Sepolcro, pronunciò il salmo: “mi si paralizzi la mano destra se mi dimenticherò di te Gerusalemme”. In omaggio a questo desiderio di papa Gregorio, l’offerta (pecuniaria) dei quartieri che accompagna l’accensione dei ceri viene mandata ogni anno ai bambini della Terra Santa.
Perché la presenza dei figuranti della Giostra
Gli aretini hanno il privilegio di vivere in una città che ha conservato un papa tra le proprie mura e aver avuto il primo conclave con questo nome. La presenza dei figuranti è un atto di riconoscenza: se abbiamo la cattedrale è anche grazie a lui. Poi c’è un preciso riferimento storico: i costumi del Saracino si rifanno agli anni del 1200. È questo il vero periodo che la Giostra vuole rievocare. Guglielmino e Gregorio X inoltre sono contemporanei, sono stati al concilio insieme; anche per questo abbiamo voluto che accanto al Beato riposasse dopo secoli il signore vescovo di Arezzo, collocato nei fondamenti della cattedrale.
Ufficio Stampa Giostra del Saracino